Oggi tutti parlano di guerra tra Russia ed Ucraina. Di guerra nei territori ucraini si parla dal lontano 2014.
Viene spontaneo domandare all’Europa dove fosse. Domanda estendibile anche a tutti coloro che si prodigano per giudicare una guerra ignobile come quella che stiamo vivendo tutti noi che pensano sia venuta dal nulla.
La guerra scoppiata in Ucraina a febbraio 2022 è strettamente legata alle manifestazioni di piazza che si sono tenute nel Paese tra la fine e del 2013 e il 2014, comunemente note come Maidan Revolution, Rivoluzione della dignità o Euromaidan, perché riguardavano l’identità europea dell’Ucraina e perché avevano come fulcro Maidan Nezalezhnosti (Piazza dell’Indipendenza), la piazza più importante di Kiev.
Intanto le forze militari russe erano giunte in Crimea e avevano iniziato un’occupazione de facto ancora oggi in essere. Contestualmente, nella regione orientale del Donbass manifestazioni di gruppi filorussi e antigovernativi si erano trasformate in una guerra aperta tra forze separatiste sostenute dalla Russia (che si autoproclamarono rappresentanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk) ed esercito ucraino, corroborato da squadre di volontari.
Dopo pochi giorni dalla caduta di Yanukovich l’Ucraina si ritrovò, di fatto, in guerra con la Russia. Alcuni soldati, che in seguito sarebbero stati riconosciuti come militari russi sebbene le loro divise non avessero etichette di riconoscimento, si impadronirono della Crimea. I locali iniziarono a chiamarli “omini verdi”.
Nell’aprile 2014, gli “uomini verdi” iniziarono a occupare anche edifici amministrativi nelle città della regione del Donbass. Dalla Russia arrivarono finanziamenti, armi pesanti, munizioni, rifornimenti.
La guerra iniziò ufficialmente il 7 aprile, quando i separatisti filorussi dichiararono l’indipendenza dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk. Mosca sostenne e armò i ribelli e molti cittadini russi si unirono ai combattimenti, sebbene la Federazione Russa non si chiamò ufficialmente coinvolta nel conflitto. Da Kiev fu lanciata un’operazione “antiterroristica” in cui venne coinvolto l’esercito e milizie di volontari, alcune delle quali legate all’estrema destra. Come già successo in Crimea, anche a Donetsk e Lugansk, un’altra regione dell’Ucraina orientale al confine con la Russia, vennero indetti due referendum che l’11 maggio portarono altrettante vittorie schiaccianti del “sì”.
Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 una serie di accordi internazionali noti come “Accordi di Minsk”, che ebbero la mediazione di Germania e Francia, cercarono di porre fine alla guerra nel Donbass. Il cosiddetto Minsk II, firmato il 12 febbraio 2015, prevedeva un pacchetto di misure come il cessate il fuoco, il ritiro delle armi pesanti, il rilascio di prigionieri di guerra e una riforma costituzionale che avrebbe concesso l’autogoverno ad alcune aree del Donbass. I combattimenti da allora si sono affievoliti senza mai cessare del tutto. Il conflitto nel Donbass ha causato circa 14 mila vittime e ha costretto circa due milioni di persone ad abbandonare le proprie case.
Nel maggio del 2014 Petro Poroshenko venne eletto nuovo presidente dell’Ucraina. Dopo primi mesi in cui gli analisti internazionali apprezzarono l’impegno del governo per la stabilizzazione dell’economia e l’introduzione di un sistema di controllo che rendesse più trasparente la gestione degli appalti pubblici, con il tempo gli ucraini hanno fatto emergere l’assenza di un piano per sconfiggere la corruzione e tenere a freno gli oligarchi del paese. Non solo, è emerso che molti dei responsabili delle sparatorie del 2014 verso i manifestanti erano rimasti impuniti così come non si erano visti passi avanti consistenti verso la fine delle ostilità con i separatisti dell’est.
Nell’ottobre 2019 al governo è arrivato Volodymyr Zelensky, dopo che al ballottaggio aveva sconfitto il presidente in carica Poroshenko con il 73% dei consensi. Attore di successo russofono, dichiaratamente populista e abilissimo nella comunicazione con i più giovani, come presidente Zelensky si è concentrato sulla digitalizzazione dell’amministrazione, sul riprendere i dialoghi con Vladimir Putin e sul processo di conciliazione tra le aree a maggioranza russofona e il resto del Paese.
(foto da Romatoday)
Nonostante gli annunci, negli ultimi anni gli sforzi diplomatici per smorzare le tensioni nell’est dell’Ucraina non hanno mostrato segni significativi di successo.
Nel novembre del 2021 le immagini satellitari hanno mostro un assembramento di truppe russe al confine. Secondo Kiev 100 mila soldati, armati e muniti di carri armati, erano pronti a invadere il territorio ucraino mentre un piano era in atto per rovesciare il governo Zelensky.
Se il 7 dicembre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva promesso alla Russia sanzioni radicali in caso di invasione, dieci giorni dopo il Cremlino aveva presentato richieste dettagliate ai Paesi occidentali: la Nato avrebbe dovuto cessare tutte le attività militari nell’Europa orientale e rigettare la richiesta di adesione di qualsiasi nazione ex sovietica. A gennaio 2022 funzionari statunitensi e russi si sono incontrati a Ginevra senza risolvere le divergenze e il 24 la Nato ha rinforzato la sua presenza militare nell’Europa dell’est con navi e cacciabombardieri.
Il 27 gennaio Biden ha annunciato che, secondo l’intelligence statunitense, a febbraio i russi avrebbero invaso l’Ucraina.
Il 21 febbraio, dopo aver riconosciuto le repubbliche di Donetsk e Luhansk, il presidente Putin ha ordinato il dispiegamento di ulteriori truppe nel Donbass, in un’operazione definita “di peacekeeping”. Il giorno dopo, il Consiglio della Federazione ha autorizzato all’unanimità Putin a usare la forza militare al di fuori della Federazione russa.
Verso le 4 del mattino del 24 febbraio 2022 il presidente Putin ha annunciato l’inizio di una “operazione militare speciale” nella regione del Donbass.
Subito dopo sono arrivate segnalazioni di esplosioni in diverse città ucraine, tra cui le due più popolose: Kiev e Kharkiv. Nel frattempo truppe d’assalto sbarcavano a Odessa.
Per giustificare questa operazione, Putin ha invocato la seconda guerra mondiale spiegando che la sua offensiva mirava a “denazificare” il Paese omettendo che Zelensky è stato democraticamente eletto, è ebreo e ha perso alcuni parenti durante l’Olocausto.
Putin ha parlato anche di genocidio: “Lo scopo di questa operazione è proteggere le persone che da otto anni stanno affrontando l’umiliazione e il genocidio perpetrati dal regime di Kiev. A tal fine, cercheremo di smilitarizzare e denazificare l’Ucraina, nonché di processare coloro che hanno perpetrato numerosi crimini sanguinosi contro i civili, compresi i cittadini della Federazione Russa”.
E’ iniziata così l’invasione russa in Ucraina. (fonte storica estratta da it.gariwo.net)
Tutto il resto è storia ancora da scrivere con la penna di chi prova stupore vedendo certe oscenità.
Si continua a sognare la guerra per mettere pace, una guerra che, da che mondo è mondo, fa delle barbarie sui civili il proprio punto di forza.
A doverci indignare non possono essere sempre le morti che guardiamo in tv e leggiamo come limite “superato”, ma le armi che permettono a questo limite di superare l’asticella. Armi che arrivano dove i corridoi umanitari non possono arrivare e la gente muore, i bambini soffrono… gli spettatori intanto mangiano i popcorn.
di Giovanni Pirri