Maurizio Mizio Vilardi è artista sempre in cerca del Sè che lo anima. Una ricerca comune a tanti anche se lui tenta di portarla a termine nella Musica che tanto ama. Per lui è quel posto dove ogni volta torna a chiedersi chi è. Forse un cantautore, forse un interprete del cuore o forse la forma d’amore che lui rappresenta per se stesso, per gli altri e dove l’amore è l’elemento di fondo che giustifica qualsiasi esistenza.
La sua musica, ma soprattutto, il suo ultimo album “Una forma d’amore che mi devo” ci ha incuriosito parecchio e per tale ragione lo abbiamo intervistato.
Tre sono le forme di amore conosciute in filosofia. I filosofi antichi ne distinguevano tre: Eros, Philia e Agape; oggi le potremmo chiamare passione, amicizia e benevolenza. Eros è breve e possessivo, Philia è altruista ma ancora un po’ possessiva, Agape è disinteressato, fraterno, smisurato. In realtà ne esistono anche altre ed il tuo disco è una di queste? In quali dimensioni sconfina?
Ogni forma d’amore è necessaria, i greci lo sapevano bene e ne teorizzavano l’equilibrio. Trovandoci nella dimensione musicale però, vorrei davvero che in questo progetto fosse preponderante la direzione dell’agape fraterna, la musica come linguaggio universale tra gli uomini e potente strumento al servizio della nostra capacità di entrare in empatia con l’altro. In fondo io canto il mio vissuto sperando di intercettare le storie altrui e senza alcuna presunzione.
E’ un traguardo o un punto di partenza (…o di svolta)? Sicuramente è un album pieno di direzioni … Solo apparentemente distanti. Quali sono i temi che hai deciso di affrontare?
Vorrei fosse un po’ tutto! È un traguardo perché trattasi del mio primo album pubblicato con un’etichetta attenta ai cantautori come Isola Tobia Label, ma al tempo stesso anche un punto di partenza verso le innumerevoli e variegate strade da intraprendere in futuro. La terra, l’amore, la notte, il sogno, sono i temi portanti di questo progetto. Mi piace pensarlo come un dipinto, con diversi colori e sfumature che fanno parte di un’unica visione.
Come è nata la copertina? Nel cuore c’è una serratura?
La copertina è opera dell’estro creativo dell’illustratore Davide Mangione, che io amo definire artista maturo dal cuore bambino. Tutto è nato grazie ad un’amica in comune che mi ha mostrato un libro illustrato di Davide. Mi sono letteralmente innamorato del suo modo di reinventare in arte la realtà ed ampliarla con il potere dell’immaginazione. Così gli ho chiesto di realizzare la copertina dell’album, copertina nata dopo l’ascolto da parte di Davide delle mie canzoni e prima di chiudere definitivamente gli arrangiamenti dell’album. In pratica ci siamo ispirati a vicenda. Forse la chiave più importante di questa serratura è proprio la Musica, la principale forma d’amore che devo a me stesso e che mi consente un atto di apertura totale alla bellezza del mondo.
Una frase alla quale sei legato è “Il caos spesso genera la vita, laddove l’ordine spesso genera l’abitudine” di Henry Adams. C’è un equilibrio possibile?
Per rimanere in tema, l’equilibrio è la chiave di tutto. Siamo tendenzialmente più reattivi al disordine, anzi citando Morgan “il disordine è una forma d’arte”. Come non dargli torto! Credo abbia letto anche lui Henry Adams. L’abitudine ci permette, invece, di conservare delle piccole grandi certezze.
E tu come sei? “Caotico” o “Abitudinario”?
Io sono un disordinato cronico (in ogni ambito) con moltissime abitudini. Insomma un quadro complesso il mio. Il disordine per me è funzionale alla creazione, è il miglior amico della curiosità e nel contempo cerco di coltivare le mie buone abitudini, tipo i pasti ad orari prestabiliti, la colazione fatta in un certo modo, le mie ore di sonno, l’immancabile pizza del sabato sera, la quotidiana passeggiata al parco sotto casa, la usuale cura della mia agenda in formato cartaceo ed altre piccolezze.
A pensarci bene ogni canzone è la realizzazione di un sogno, dapprima messo nel cassetto, ma una volta tirato fuori e messo a fuoco può diventare il sogno di tutti. Che rapporto hai con le tue canzoni?
Molte nascono proprio dai sogni! Loro rappresentano il mio personale sguardo sul mondo e sono felice quando questo sguardo così intimo viene condiviso da altri. Mi fa sentire simile a chi mi sta ascoltando.
Sono anche l’occasione per esorcizzare paure o nostalgie?
Assolutamente. Per me la scrittura di canzoni rientra in un preciso piano terapeutico all’interno del quale posso esplorare le mie paure, quelle legate soprattutto alla precarietà della nostra esistenza, le canto in “Oltre là” brano contenuto nell’album. La nostalgia rappresenta invece quel fil rouge che lega tutti i brani. Così le canzoni diventano un modo per indagare i miei ricordi, per tenere viva la memoria e talvolta questa nostalgia si avvicina più alla definizione di “saudade”, ovvero quel sentimento malinconico di incompiutezza, che io cerco di rivedere in chiave felice. Il più bel complimento che ho ricevuto infatti è stato: “Mizio tu scrivi canzoni tristi per gente felice”.
Potremmo definire “Una forma d’amore che mi devo” l’album della maturità. Te la immaginavi così?
Forse la maturità deve ancora arrivare, sicuramente questo è l’album della consapevolezza di quanto fatto fin qui ed è esattamente come me lo immaginavo, con tutte le ingenuità e imperfezioni del caso.
Quanto c’è della tua terra e, quindi, delle tue radici?
C’è davvero molto, ci sono i suoni, le parole, le persone che amo. Alcune canzoni rappresentano addirittura un escamotage per tornare a casa e ciò accade soprattutto quando canto in vernacolo. Queste radici le porto sempre con me, così come custodisco in me chi ha contribuito a renderle forti, che sia qui o altrove.
Scrivi canzoni in italiano, in inglese e in vernacolo. Il vernacolo è distinto dal dialetto perché si riferisce ad una zona ancora più ristretta. Come è nata questa passione e quanto ti aiuta nel dare forma ai tuoi testi?
Leggendo il libro di un poeta molfettese Mimmo Amato, nonché il padre di mia moglie. Tutto è successo diversi anni fa, quando rimasi affascinato dalla dolcezza di alcune parole in versi che solitamente in ambito quotidiano possono suonare molto aspre. Ho capito giocando con i suoni che molte volte è questione di intenzione ed anche il suono più ruvido può essere modellato per risuonare in maniera gentile. Ho avuto il piacere di sottoporre le mie idee a Mimmo, grandissimo cultore e studioso del nostro vernacolo e così ho iniziato a percorre questa strada, sicuramente all’inizio per gioco, ma giocando si crea.
Vita musicale e vita quotidiana spesso non coincidono. Come riesci a conciliare mondi paralleli che richiedono attenzioni diverse?
È come se avessi una casa in città ed una in campagna. Per me la musica rappresenta la casa in campagna, l’orticello da coltivare e, da bravo contadino, all’interno delle mie giornate mi concedo il giusto spazio per innaffiare le mie idee e curare questa passione. Non sempre riesco nell’intento e la cosa più bella è che alle volte mi capita di scrivere nei momenti dove Mizio dovrebbe essere in città. Insomma vita musicale e vita quotidiana spesso si confondono. Valli a fermare certi pensieri.
Nella tua vita puoi sicuramente dire a gran voce che “Tutto può succedere”?
E’ il caso di Flow! Che esperienza è stata riascoltare il proprio brano legato ad una fiction così speciale? E quanto ti piace il Cinema?
Ricordo che ero a casa dei miei genitori a Molfetta e forse la cosa più bella è stata condividere quel momento con loro, dimostrare nel mio piccolo che ogni tanto i sogni si avverano. Il felice evento si è ripetuto in “Tutto può succedere 3” sempre su Rai Uno con il brano “Surround me”. Sogno di scrivere canzoni per il cinema o per la tv, la mia stessa scrittura è molto legata alle immagini. Insomma cari registi, se volete, io ci sono.
Tra le tue esperienze figurano anche quella di Festival e Rassegne come il Premio Fabrizio de Andrè, il Premio Bindi e Botteghe d’Autore. Che peso dai a questo tipo di esperienze e come ti rapporti con i confronti?
Devo essere sincero. Prima avevo un rapporto non idilliaco con i festival, eventuali rifiuti venivano da me accolti in maniera negativa ma poi ho compreso che l’utilità di questi contesti consiste nella capacità degli stessi di generare una rete di rapporti umani e musicali. Se non fosse stato per alcune di queste rassegne non sarei entrato in contatto, per esempio, con Carlo Mercadante di Isola Tobia Label o non avrei conosciuto molti artisti che stimo, diventati poi amici. Insomma inizio a non curare l’aspetto della competizione in sé, anche se sono sempre ben graditi i riconoscimenti quando ci sono.
Alcuni dicono che “Possono anche toglierci tutto ma non i sogni”?
Come ti immagini nell’immediato futuro? O preferisci sognare il presente?
“Se diventassi tempo sarei il tuo presente continuo” mi ricollego a questo verso contenuto in “Flow” per risponderti. Molti di noi sono proiettati nella visione costante del futuro, tralasciando l’importanza del presente. Io credo nella costruzione del giorno dopo giorno con i sogni a fare da faro e ad ispirare le azioni migliori. Nell’immediato futuro mi immagino innanzitutto papà e precisamente da fine agosto e già questo basta per concentrare la mia attenzione su un nuovo e inedito ambito della mia vita.
Il tuo rapporto con Dostoevskij?
“Le notti bianche” è uno dei miei libri preferiti in assoluto e posso anche svelarti che ho scritto una canzone dedicata alle notti bianche, in questo caso le mie, partendo proprio da alcuni versi di Fedor Dostoevskij. Amo definirmi un sognatore, proprio come quello descritto dal giovane Dostoevskij.
Il tuo presente pre e durante-Covid?
Sia prima che durante la fase Covid ho continuato a lavorare in ospedale, sono un tecnico di Radiologia medica oltre ad essere un cantautore e questa dinamicità, vista anche la mole di lavoro, mi ha consentito di non patire troppo la quarantena dal punto di vista della costrizione nel dover rimanere a casa. Non nascondo la mia preoccupazione per un eventuale contagio delle persone che amo. Colgo l’occasione per salutare tutti i colleghi coinvolti nell’emergenza e che stanno svolgendo un prezioso servizio per tutta la comunità.
La prima cosa che farai quando tutto questo sarà solo un ricordo?
C’è una lista lunghissima di cose che vorrei fare ma l’esigenza più grande è quella di viaggiare. Vorrei mettermi in cammino per un viaggio in solitaria, a piedi, senza una vera meta e poi godere del mare della Puglia, ovviamente in famiglia.
di Giovanni Pirri
Mizio Vilardi, all’anagrafe Maurizio Vilardi, è nato a Molfetta il 15 maggio del 1988 ma abita a Roma per motivi professionali. Canta e suona la chitarra, scrive canzoni in italiano, in vernacolo, in inglese e la sua musica è un misto di cantautorato e pop d’autore contaminato dai suoni del mondo. Il 15 ottobre 2015 ha pubblicato il primo ep, Radici sotto i piedi, che già dal titolo mostra la volontà di non dimenticare mai le proprie origini ma contemporaneamente di proseguire il proprio cammino, ovunque esso porti. Nel 2016 il suo brano Flow, a seguito di un casting organizzato da RAI e Cattleya, è selezionato dal maestro Paolo Buonvino per figurare all’interno della colonna sonora della fiction Tutto può succedere, in onda su Rai Uno. Nel 2018 un altro pezzo, Surround me, viene inserito nella terza stagione della stessa fiction Rai. Mizio ha preso parte a diversi festival e rassegne cantautorali, quali ad esempio il Premio Fabrizio de Andrè, il Premio Bindi e Botteghe d’Autore, ottenendo svariati riconoscimenti, fra i quali quello assegnato in occasione del Premio nazionale ArtEmergente 2019 a Le notte porte sembe, canzone da lui scritta in dialetto molfettese. A settembre 2019 ha inoltre pubblicato in veste di autore il brano Come ci capita di Federica Paradiso. Nel 2020 è uscito con l’etichetta Isola Tobia Label il suo album d’esordio Una forma d’amore che mi devo. Si definisce un sognatore, proprio come quello de Le notti bianche di Dostoevskij.